Giurisprudenza e criptovalute

In mancanza di leggi e regolamenti specifici, arriva in aiuto del legislatore “dormiglione” una delle fonti per eccellenza del diritto: La giurisprudenza.

Ringrazio l’Avv. Giuseppe Perdicaro, anch’esso impegnato a governare gli aspetti legali della tecnologia Blockchain, per avermi segnalato la sentenza che ha stimolato questo articolo. (Questa la sentenza)

L’antefatto: Il governo Gentiloni ha introdotto una norma che obbliga i possessori di wallet, che per un periodo superiore ai 7 giorni continuativi si siano trovati ad avere una somma corrispondente o superiore (convertita in valuta FIAT) a 51.000€, a riportarli nella dichiarazione successiva nell’apposito quadro riservato ai capitali mobilitati in valute diverse dalla propria. Pur con tanti distinguo, anche le criptovalute sono assoggettate al regime delle valute tradizionali, ma essendo un prodotto oggettivamente dedicato ad attività speculative, ecco il distinguo, subiscono la tassazione delle plusvalenze.

La norma è stata fatta per intercettare i fortunelli che abbiano, in passato e a prezzi irrisori, acquistato Bitcoin o altro. Il legislatore ha lasciato una zona di margine di 51.000€ che sarà presa a riferimento per calcolare l’ammontare della plusvalenza e la relativa tassazione, ma solo in caso di smobilitazione.

Ecco perché si forma la giurisprudenza: Poche leggi, molto spesso circolari interne o regolamenti sostitutivi di norme chiare e specifiche e tutte da capire nel senso, e c’è chi radica dei contenziosi nel tentativo di affermane un’interpretazione di parte (in questo caso “salvare” un capitale comparso in maniera inaspettata) per ripristinare una situazione più favorevole. E’ proprio dal risultato del dibattito, formalizzato in Sentenza, che la “fumosità” di certe norme si dirada a vantaggio di un’interpretazione più condivisa.

Con questa sentenza la prima battaglia è andata persa, viene rimarcata l’obbligatorietà di inserire in dichiarazione la proprietà di wallet consistenti e di attenersi alla tassazione spontanea sul capital gain nel momento in cui si vendono le proprie valute digitali e si incassano euro.

Ovviamente tutto questo vale solo per i privati, perché le aziende hanno da sempre un regime piuttosto chiaro in tema di tassazione sulle plusvalenze.

Perché parlo di battaglia persa riferendomi alla sentenza di un Giudice che rigetta il ricorso e ribadisce la validità della norma sulla tassazione?

Semplicemente perché mi chiedo: Tu, Stato, cosa hai fatto per meritarti il 26% dei miei soldi che ho guadagnato rischiando e grazie al mio intuito? Quali strumenti di controllo e tutela hai creato per aiutarmi in questa mia scelta? Quali garanzie avresti attuato per tutelarmi, in quanto cittadino e contribuente, in caso di “fregatura”?

La risposta, purtroppo, è: NIENTE, ma proprio niente.

E allora è lecito domandarsi perché lo stato voglia partecipare alle mie gioie sempre e comunque ma non partecipa mai ai miei dolori. Sbaglierò, ma credo che in questo caso lo stato sia in torto, perché per il settore finanziario in senso stretto possiamo anche credere che lo stato sostenga dei costi, attui dei controlli e offra delle garanzie e per questo accettiamo la tassazione perché torna a nostra tutela, ma in questo caso è stato un puro rischio degli individui che hanno avuto la follia o il coraggio di crederci.

E se ci tassate anche la fortuna, allora vuol proprio dire che lo stato non è una mamma benevola, ma piuttosto una sorellastra arcigna e invidiosa.

Personalismi a parte, lo stato c’è, le leggi anche e bisogna seguirne le indicazioni e poiché vige la regola che: L’ignoranza non giustifica il reato, allora è bene rimanere informati e attenti soprattutto agli aspetti fiscali della materia. Per questo con LaMIaBanca facciamo formazione costante anche in tema di fiscalità con l’aiuto di Avvocati, Notai e Commercialisti di provata competenza. Elenco corsi disponibile sul nostro sito.

Buon 740 a tutti.

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